Sfruttamento del brevetto cointestato uti singulus? – La risposta data da Cass. civ., Sez. I, Sent., 18/02/2025 n.4131.

Ne avevamo dato conto dei precedenti gradi negli articoli qui pubblicati (cfr. sentenze di 1° e 2° grado, Sezioni specializzate in materia d’impresa di Venezia).

Ebbene, dopo oltre 24 anni rispetto al precedente più significativo (Cass. civ., Sez. I, sentenza, 22/04/2000, n. 5281; vedasi, anche, Cass. civ. n.265/1981), la Suprema Corte ritorna sull’argomento del brevetto cointestato sotto il profilo dell’estensione applicativa delle richiamate norme sulla comunione e, stavolta, lo fa affrontando centralmente la questione sottopostale, sentendo la necessità di riportare la vicenda dalla Camera di consiglio (alla quale era pervenuta, ex art. 380-bis.1), alla riflessione dell’udienza collegiale pubblica per la relativa sentenza. Per tale sede la Procura generale (nella persona del Sostituto, Dott. Giovanni Battista Nardecchia) concluse, con la memoria ex art. 378 cpc, per l’accoglimento del 1° motivo di ricorso principale per cassazione (con assorbimento del 2° motivo) ovvero art. 360, comma 1,  n.3 cpc, per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, con riferimento alle seguenti norme: art. 2584 c.c. e art. 66 c.p.i.; art. 53 c.p.i.; artt. 2 c.p.i., 832 c.c.; 6.c.p.i e artt. 1102, 1105 e 1108 c.c. (diritto all’esclusiva e le norme sulla comunione).

La tesi della Corte d’Appello di Venezia.

La Corte d’Appello di Venezia, Sezione specializzata in materia d’impresa (sentenza depositata in data 13/09/2021, n. 2364/2021, confermante la sentenza del relativo Tribunale specializzato), andò – consapevolmente – contro il predetto precedente della Suprema Corte, asserendo che lo sfruttamento di un bene immateriale cointestato/brevettato (due contitolari, ciascuno al 50%, nel caso di specie) attribuirebbe un’esclusiva/privativa relativa e, cioè, nei confronti di tutti (i non titolati), tranne che dell’altro comunista. Oltre a tale contrasto, la Corte territoriale rivendicò la necessità di adattare le richiamate norme sulla comunione (art. 6 c.p.i.) al particolare àmbito dei beni immateriali (rispetto ai beni materiali), asserendo che: 1) ciascun comproprietario, senza mutare la destinazione della cosa comune, pur brevettata, e senza impedirne il parimenti uso da parte dell’altro comproprietario (cfr. art. 1102 c.c.), può utilizzare/sfruttare la cosa comune, traendone l’utilità tipica in tutta la sua potenzialità, anche contro il volere dell’altro contitolare; 2) inoltre, ciascun contitolare può far valere, in modo ordinario, la privativa (sfruttamento economico) nei confronti di tutti i non titolari, valendo il concetto opposto nei confronti dell’altro contitolare, dovendosi propendere per un’esclusiva in senso relativo; 3) se per tale sfruttamento ordinario (diretto/immediato) di ciascun contitolare fosse – mai – indispensabile il “placet” dell’altro contitolare (artt. 1105 e 1108 c.c.), allora la proprietà brevettuale ne uscirebbe svuotata, privandosi delle sue caratteristiche/potenzialità; 4) rendendo pure impossibile la cessione della quota (art. 1103 c.c.), perché nessuno mai acquisterebbe una simil quota, così svuotata di utilizzabilità diretta/immediata; 5) e sarebbe sbagliato ritenere che la sfruttabilità della privativa da parte di un contitolare senza il consenso dell’altro contitolare violerebbe il divieto di alterazione della destinazione della cosa brevettata in comunione e ciò sia perché, come detto, la perdita di esclusiva non sarebbe un’alterazione giuridicamente rilevante della destinazione della cosa sia perché il concetto di esclusiva non è assoluto, bensì relativo, cioè relazionato ai soggetti non titolati, potendo fare altrettanto anche l’altro cointestatario; 6) in assenza di convenzioni tra le parti, ciascun contitolare potrà far valere i diritti di cui all’art. 66 c.p.i appieno (come avrebbe potuto ben fare l’altro contitolare nel caso di specie), senza limitazione alcuna frapponibile dall’altro contitolare.

La cassazione con rinvio proprio (Cass. civ., Sez.I, 18/02/2025, n. 4131, Presidente Mauro Di Marzio, Consigliere relatore, Marco Marulli): ribadita e valorizzata l’applicazione delle norme sulla comunione.

La Suprema Corte (Consigliere relatore Marco Marulli), nell’accogliere il 1° motivo di ricorso, (assorbito il 2° motivo) ravvisata la violazione di legge nell’impugnata sentenza, ne ha disposto la cassazione con rinvio, sancendo il seguente principio di diritto:

In materia di brevetto di cui siano contitolari due o più soggetti, il rinvio contenuto nell’art. 6, comma 1, cod. propr. ind. alle norme sulla comunione dei diritti reali deve essere inteso nel senso, che in difetto di convenzione contraria, a mente dell’art. 1102, comma 1, cod. civ. è precluso al singolo comunista lo sfruttamento produttivo del trovato a cui voglia procedere uti singulus in quanto ciò, riflettendosi sulla tutela accordata con il brevetto, altera la destinazione della cosa e lede in tal modo il diritto di esclusiva dell’altro o degli altri contitolari”.

Tale principio di diritto viene spiegato motivando che “Se si guarda, cioè, la cosa dal punto di vista dell’art. 6, comma 1, cod. prop. ind. e, sulla scorta del rinvio che esso fa alle norme sulla comunione, dal punto di vista dell’art. 1102 cod. civ. e del principio secondo cui l’uso consentito al singolo comunista del bene comune non può alterarne la destinazione, lo sfruttamento uti singulus del brevetto ne altera indubbiamente la destinazione perché la tutela che esso poteva accordare quando lo sfruttamento era conferito collegialmente e collegialmente esercitato, laddove per intenderci il mercato accordava un certo valore al trovato, viene inesorabilmente meno quando allo sfruttamento di più si sostituisca lo sfruttamento da parte di uno solo. Sicché se anche a questo titolo si volesse continuare a parlare di lesione del diritto di esclusiva, essa non sarebbe ravvisabile nel fatto che il contitolare non possa fare uso del bene comune perché ciò andrebbe in urto all’uso degli altri contitolari, ma andrebbe ravvisata nel fatto che lo sfruttamento individuale del brevetto deprime il valore intrinseco di esso, ne altera la destinazione e pregiudica il diritto degli altri contitolari di ritrarre dal brevetto i benefici che l’esclusiva loro concessa era in grado di assicurare.”.

Concetti che si possono riassumere come segue: lo sfruttamento uti singulus del brevetto cointestato contro il volere dell’altro contitolare costituisce di per sè illecito ex art. 1102 c.c. per (vietata) alterazione della destinazione della cosa comune.

L’interesse pratico della decisione.

La decisione della Corte veneziana andava – obiettivamente – a impattare sulla esistente legislazione in tema di privativa brevettuale (e di proprietà) e di comunione, pure quest’ultima esplicitamente richiamata dall’art. 6 c.p.i. Sulla relativa violazione di legge la Suprema Corte è intervenuta nel suo ruolo istituzionale nomofilattico, riportando la vicenda nei solchi delle vigenti norme fondamentali sulla proprietà brevettuale (l’art. 66 c.p.i.) e sulla comunione (l’art. 1102 c.c.). Su altro àmbito (fattuale argomentativo/interpretativo), la via segnata dalla Corte di merito presentava controindicazioni, perché andava a indebolire la esclusiva/privativa della comproprietà brevettuale, anziché potenziarla (come sarebbe auspicabile in un quadro competitivo, anche sovrannazionale) e ciò in modo non coerente sotto il profilo sistematico e, infatti, alcune riflessioni s’impongono. A) Una volta fatta la scelta della comunione brevettuale, la necessità – in sede di amministrazione/sfruttamento – di concertazione secondo le regole della comunione per l’attuazione dello sfruttamento con privativa/esclusiva non dovrebbe risultare una stranezza/vulnus in àmbito brevettuale, bensì un’indispensabilità per la valorizzazione della stessa privativa/esclusiva, legittimamente/consapevolmente realizzata dall’autonomia contrattuale delle parti: cosa ci sarebbe di strano se le parti avessero programmato – come avvenuto nel caso di specie – di addivenire a un brevetto in comune, accettando preventivamente la maggiore complessità della relativa amministrazione, così come pur pacificamente avviene per i beni materiali? B) Se ciò non apparisse normale, chi mai si avventurerebbe nell’investimento in comune in vista di più ambiziosi traguardi brevettuali, se poi ciascun contitolare potesse fare qualsiasi scelta amministrativa/sfruttamento, anche contro il volere dell’altro contitolare? C) Perché immaginarsi identità di situazione in sede di sfruttamento tra bene brevettato intestato a una sola persona, rispetto a quello intestato a due (o più) persone? E il richiamo dell’art. 6 c.p.i. alle norme sulla comunione? Escludendo l’applicazione delle norme degli artt. 1102, 1105 e 1108 c.c. che senso residuale mai avrebbe il richiamo alla comunione di cui all’art. 6 c.p.i., operato con simile ampiezza (“Se un diritto di proprietà industriale appartiene a più soggetti, le facoltà relative sono regolate, salvo convenzioni in contrario, dalle disposizioni del codice civile relative alla comunione in quanto compatibili.”)? D) dopo tanto investimento collettivo per addivenire al traguardo rappresentato dall’invenzione, la maggiore libertà nell’amministrazione del bene immateriale brevettato rispetto al bene materiale non brevettato (come suggerito dalla Corte lagunare), porterebbe al seguente risultato stucchevole: concretizzata l’invenzione in un bene materiale, al momento di dover scegliere se brevettarla o meno, il comunista si troverebbe a dover preferire, in via cautelativa (nei confronti dell’altro contitolare), la non brevettazione dell’invenzione, piuttosto che la brevettazione, trovando – appunto – nella non brevettazione maggiore tutela; come detto, tale risultato dovrebbe risultare quantomeno singolare, se non paradossale. E) Situazione che lascerebbe senza risposta coerente un’altra situazione: come risolvere i problemi di amministrazione/sfruttamento quando l’invenzione non si concretizzasse in un bene materiale, bensì in un procedimento (art.66, comma 2, c.p.i.)? F) L’illusoria/immediata maggiore circolazione degli esistenti beni brevettati cointestati provocherebbe, in realtà, il risultato controproducente di scoraggiarne la creazione con la forza sinergica della comunione; questa maggiore libertà, riservata alla comproprietà brevettuale (non si sa perché, rispetto alla comproprietà sui beni materiali non brevettati), avrebbe un ulteriore effetto pratico/argomentativo in termini competitivi: in caso di licenza di quota del godimento ciò darebbe al terzo licenziatario (a costi minori) gli stessi poteri di altri terzi licenziatari del 100% di un bene brevettato a nome di un solo soggetto. G) Oltre a rendere insignificante il richiamo alle norme sulla comunione (all’art. 1102 c.c., in particolare), l’interpretazione veneziana andrebbe a svuotare un altro aspetto cardine connotante il brevetto ovvero il frequente richiamo alle norme sulla proprietà: il brevetto nasce con il suo rilascio e da quel momento il trattamento riservato, almeno per molti aspetti, è proprio quello della proprietà, come esplicitamente rinvenibile agli artt. 2584 e 832 c.c., da coordinare con gli artt. 2, 53 e 66 c.p.i.; coerentemente a tale assunto, si pensi solo ad alcuni esempi: il brevetto è pignorabile ed espropriabile ex artt. 137 e ss e 141 c.p.i.; l’azione a difesa del brevetto rappresenta un’azione reale, esercitabile “erga omnes”, a protezione di un diritto reale assoluto e vi è di più: dichiarato giudizialmente nullo un brevetto l’effetto non sarebbe quello solito del giudicato fra le sole parti del processo, perché – invece – estenderebbe gli effetti “erga omnes” (retroattivamente: art. 77 c.p.i.), anche ai non partecipanti al detto processo.

H) Quadro disegnato da tale Giudice di merito non rassicurante perché, come rilevato dalla Procura nella Sua memoria ex art. 378 cpc, potrebbe anche accadere la situazione di una contitolarità con accordo iniziale delle parti quanto allo sfruttamento del trovato, accordo poi venuto meno nell’affrontare la realtà della industrializzazione e della relativa commercializzazione (momento gestorio affrontato in tema di marchio in comune da Cass. civ., Sez. I, 19/04/2024, n.10637, confermante l’estensione applicativa dell’art. 1108, primo e terzo comma c.c., così completando un coerente quadro d’insieme).

Il riordino operato dalla Corte Suprema, oltre a rappresentare una ricostruzione coerente/nomofilattica rispetto a importanti àmbiti (come detto, la proprietà, la comunione e il brevetto) ha l’immediato risvolto pratico d’incoraggiare l’investimento nella ricerca brevettuale, concentrando le forze di più soggetti in vista di un traguardo che, la forza economica (e la fantasia) del singolo operatore, farebbe (quantomeno) più fatica a raggiungere.

Non solo, perché c’è un’altra riflessione, pure anticipata dalla Corte di merito: è ragionevole ritenere che i principii ribaditi dal Supremo Collegio possano avere una portata estensiva al marchio cointestato (cfr. Tribunale di Milano, 06/06/2015, n. 7029 e rinvio pregiudiziale con ordinanza della Cass. Civ. n. 30749/2021 a cui seguì sentenza della CGUE 27/04/2023 nella C-686/21 e, da ultimo, la predetta Cassazione Civile numero 10637/2024) e – aggiungiamo noi – al diritto d’autore (artt. 10,12 e 158, secondo comma, L. n. 633/1941). Una buona notizia, dunque, in materia di competitività e concorrenza del nostro sistema attraverso la maggiore chiarezza delle sue regole.    

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